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giovedì 05 dicembre 2024

STORIE DI ORDINARIA UMANITÀ — il Blog di Nicolò Stella

Nicolò Stella

Nato in Sicilia si è trasferito a Pontedera a 26 anni e ha diretto la Stazione Carabinieri per 27 anni. Per sei anni ha svolto la funzione di pubblico ministero d’udienza presso la sezione distaccata di Pontedera del Tribunale di Pisa. Ora fa il nonno e si dedica alla lettura dei libri che non ha avuto tempo di leggere in questi anni.

Ma che banda è questa!

di Nicolò Stella - sabato 02 aprile 2022 ore 07:30

Quella mattina, Vincenzo Malinconico si era svegliato con dolori articolari su tutto il corpo. Aveva dormito sul divano, con i vestiti da lavoro. La sera prima non aveva avuto voglia di farsi una doccia. Aveva lasciato l’azienda dove lavorava in fretta per raggiungere casa, e una volta arrivato aveva ricominciato a litigare con la moglie per quella decisione che la donna aveva preso di allontanarsi di casa. Considerava quella unione ormai giunta al capolinea e non voleva rimanere solo per i figli, che a volte uniscono ma che a volte dividono. Vincenzo, ancora assonnato, aveva aperto lo sportello del frigo e allungato la mano verso il brik di latte ma spostandola subito verso quel vinello bianco comprato al discount qualche giorno prima. “Inizi a bere già di mattina?” gli chiese la moglie che apparì all’improvviso in cucina. “Oggi vado via. Vado da mia sorella, ho già detto tutto ai gemelli, sono abbastanza grandi per capire. Mi hanno solo chiesto di poter rimanere in casa con te. Fai venire tua madre penserà almeno a farli mangiare al loro rientro da scuola.”

“Allora hai preso la tua decisione?” rispose Vincenzo. “Sì, sono stanca, non ce la faccio più!” rispose la donna. “Sei una egoista stai abbandonando i tuoi figli” rinfacciò Vincenzo.

“Non abbandono nessuno. Mia sorella abita a tre chilometri da qui. Verrò tutti i giorni. Starò attenta solo a venire quando non ci sei tu.”

“Se esci da questa casa non ci entrerai mai più, per nessun motivo. Pensa bene a quello che fai” la implorò lui. “Vincenzo ormai è finita, non ritorno più indietro, ti prego solo di non mettermi contro i figli.”

Vincenzo uscì di casa sbattendo la porta. Scese le scale, salì in auto e si diresse sul posto di lavoro. Arrivò quasi in orario, parcheggiò l’auto, scese, fece un tratto di strada, ma non entro in azienda. Ritornò indietro, risalì in macchina, e ritorno verso casa. Giunto sotto il condominio osservò con disappunto che la macchina della moglie non era più parcheggiata dove era prima. “L’ha detto e l’ha fatto” pensò mentre la rabbia gli prendeva il sopravvento. Salì, entrando chiamo più volte la moglie per una vana speranza che fosse sempre in casa. Non rispose nessuno. Vincenzo si recò nel salotto e dopo avere aperto la vetrina dell’armadio blindato, dove teneva le armi da caccia, prese il primo fucile che gli venne in mano. Una doppietta vecchio stile. Raccolse una cartuccia e la inserì nella canna del basculante. Scendendo non si rese nemmeno conto della sottile ironia del signor Umberto Diciotti, il pensionato del primo piano, che vedendolo correre per le scale con il fucile in mano gli disse: “Vincenzo, che stai rincorrendo una lepre?” In breve tempo si trovò sotto casa della sorella della moglie. Aveva ragione lei, le due abitazioni distanziavano meno di tre chilometri. Scese dall’auto e suonò il campanello del citofono. La moglie che l’aveva visto arrivare, rispose al citofono. Vincenzo riconoscendo la voce fra la supplica e l’ingiunzione, gli disse: “Scendi.”

“Non scendere, chiama i Carabinieri” le disse la sorella che le stava accanto vicina alla cornetta del citofono.

“Lascia stare, ci penso io”, rispose la donna.

“Non scendere, ho paura”, continuò la sorella.

“Lascia stare lo conosco da quando avevamo quindici anni, non mi ha mai alzato un dito, non ha mai toccato i ragazzi. Non è un tipo violento. Vado, lo calmo, e lo mando via. Vedrai che lo convinco”.

Maria Spinori, la moglie di Vincenzo era una donna di alta statura, coraggiosa per quel bastava per fidarsi di chi conosceva bene, di quell’uomo che era stato il suo primo fidanzato e che poi sposò giovanissima andando all’altare attendendo i gemelli, che nacquero qualche mese dopo. Scese le scale senza fretta, aprì il portone e uscì in strada. Vincenzo stava dalla parte opposta. Appena la vide le intimò: “Maria, sali in macchina e ritorna a casa.” “Vattene Vincenzo, lasciami in pace, dammi il tempo di riflettere se sto sbagliando io o se stai continuando a sbagliare tu. Vai a casa fra poco escono di scuola i gemelli. Cucinagli il risotto che gli piace tanto”. Rispose Maria con tono persuasivo.

“Ti ho detto sali in macchina e ritorniamo a casa insieme”, intimò Vincenzo.

“Non vengo da nessuna parte”, rispose con fermezza Maria.

A quest’ultima affermazione Vincenzo afferrò il fucile che aveva lasciato sul sedile anteriore dell’auto, si girò e senza nemmeno puntare, né rendersene conto, sparò quell’unica cartuccia. Maria non ebbe il tempo nemmeno di gridare prima di essere colpita dallo spostamento d’aria che la fece cadere a terra. Si accasciò. Urlò per la paura e per la rabbia. Come aveva potuto fare ciò Vincenzo, dove era finito quel ragazzino di quindici anni che le diceva “Io ti sposerò e avremo tanti figli”. La soccorse la sorella che non l’aveva lasciata sola ed era rimasta in disparte dietro il portone condominiale.

Vincenzo aveva sparato, sì, ma non aveva intenzione di uccidere e nel fucile aveva messo la cartuccia di quell’ultima battuta di caccia al piccione, con bossoli in cartone caricati alla meno peggio nel garage di casa, con un sotto dosaggio di polvere da sparo e borra in sughero. Dopo lo sparo era scappato via per la vergogna di quel gesto. Si mise alla guida della sua Panda, si avviò piangendo e meditando di ritornare a casa dove avrebbe aspettato i figli per spiegargli e chiedergli scusa. Lungo il tragitto cambiò idea e decise di andare a trovare l’anziana madre che ultimamente aveva trascurato: sicuramente avrebbe avuto un rimprovero da fargli ma anche una parola di conforto. Infine si fermò davanti alla Caserma dei Carabinieri. Suonò a lungo alla porta della Caserma. “Questi non ci sono mai” pensò, prendendo in contemporanea il cellulare per comporre il 112 e spiegare la sua intenzione di costituirsi. Aveva sparato alla moglie. Voleva essere arrestato così com’era giusto che fosse. La porta della caserma si aprì all’improvviso e apparve un ragazzo, un giovane Carabinieri di leva, forse aveva potuto avere vent’anni, qualcuno in più dei sui figli. Accennò con il viso per conoscere il motivo della sua visita. “Sì mi dica?” domandò il Carabiniere. “Ho sparato a mia moglie, sono venuto per essere arrestato. In macchina c’è il fucile” rispose Vincenzo.

“Ecco ci voleva pure questo stamattina” pensò il Carabiniere prevedendo il rinvio, a data da destinarsi, del suo permesso settimanale.

“Entri e si sieda qui.” disse il Carabiniere indicandogli una poltrona in similpelle, color mosto rancido.

Il Carabiniere si allontanò e dalle trombe delle scale interne dell’alloggio di servizio, chiamò il Maresciallo. “Scenda c’è un tizio che dice di avere sparato alla moglie.” Il maresciallo si precipitò subito in ufficio. “Venga signor Malinconico, venga racconti tutto al Maresciallo”. Disse il Carabiniere precedendo Vincenzo nell’ufficio del Comandante. Il maresciallo dopo avere ascoltato il racconto di Vincenzo disse al Carabiniere di andare in macchina e di prendere il fucile con tutte le cautele del caso. Alzò la cornetta e telefonò alla centrale operativa. L’operatore confermò la notizia e gli disse dove era successo il fatto e così facendo avvalorò il racconto di Vincenzo. L’operatore informò il maresciallo che la donna si trovava al pronto soccorso ma non era in pericolo di vita.

Subito dopo lo sparo, la sorella di Maria non aveva chiamato l’ambulanza, ma aveva provveduto lei stessa a trasportarla in ospedale. Lungo il tragitto Maria aveva sentito che il dolore, man mano che passava il tempo, si attenuava e poi non c’era neanche una goccia di sangue. Solo paura e rabbia per quel gesto. Giunta al pronto soccorso il medico l’aveva medicata e diagnosticata: “Piccole macule, pigmentate al fianco destro, senza lesione della cute. Giudicata guaribile in 7 giorni.” Il colpo sparato da Vincenzo aveva di fatto solamente lacerato il giubbotto della donna.

Il Maresciallo telefonò al Pubblico Ministero di turno per notiziarlo dell’evento e concordare le verbalizzazioni successive. Il Magistrato non rispose subito. Era un maratoneta, a volte preparava le competizioni correndo per le vie cittadine, e rispondeva alle telefonate solo a conclusione delle tornate di allenamento.

“Maresciallo, si tratta di lesioni lievi, si è costituito, ha consegnato il fucile, pertanto non vi sono i presupposti per potere richiedere una misura coercitiva. Lo denunci in stato di libertà. Gli sequestri tutte le armi che ha in casa. Lei sicuramente saprà come fare. Lo affidi a un parente. Mi ha detto che ha la mamma? Lo faccia ospitare a casa da un familiare e gli raccomandi di iniziare un percorso terapeutico con un buon medico.” Il Maresciallo rintracciò il fratello di Vincenzo che nel frattempo aveva già raggiunto il paese attendendo fuori dalla porta della caserma di essere chiamato.

“Lo porti a casa, non lo faccia andare a lavorare, anzi se può non ci vada nemmeno lei. Gli stia accanto”, si raccomandò il Maresciallo e poi rivolgendosi a Vincenzo:

“Allora lei adesso va a casa con suo fratello Giovanni. Lo consideri un periodo di riflessione, prenda appuntamento con il suo medico. Si faccia consigliare un buon psicoterapeuta, stia tranquillo. Parlo io con i suoi figli. Fortunatamente sua moglie sta bene ed è stata già dimessa dall’ospedale…”

“Maresciallo quindi non mi porta in carcere?” domandò Vincenzo, fra l’incredulo e il deluso. “No, Lei adesso va a casa di suo fratello si consideri suo ospite, prenda un periodo di ferie dal lavoro. Aiuti Giovanni nei campi e stia tranquillo.” rispose il Maresciallo. “Quindi, vado a casa di mio fratello agli arresti domiciliari?” chiese per una conferma chiarificatrice Vincenzo.

“No, Lei va a casa di suo fratello che lo ospiterà ma non è agli arresti, di fatto è libero.” Rispose il Maresciallo anche lui deluso per il mancato incremento dell’attività operativa mensile.

Vincenzo aveva voglia di espiare la giusta pena per il suo gesto, voleva udire il rumore di una chiave che chiudeva la stanza dove era giusto venisse ristretto. Avrebbe voluto, come una punizione, che qualcuno gli togliesse la cintura e i lacci delle scarpe. Poi, fra il contrariato e lo scontento aggiunse: “Ma come non mi portate in carcere? Non mi mettete nemmeno ai domiciliari? Ma com’è? Uno spara alla moglie e nemmeno lo arrestate? Ma che banda è questa?”.

Nicolò Stella

Articoli dal Blog “Storie di ordinaria umanità” di Nicolò Stella