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lunedì 15 settembre 2025

LE PREGIATE PENNE — il Blog di Pierantonio Pardi

Pierantonio Pardi

Pierantonio Pardi ha insegnato letteratura italiana all’ITAS “ Santoni” di Pisa fino alla pensione. Il suo esordio narrativo è stato nel 1975 con il romanzo "Testimone il vino" , ristampato nel 2023 sempre dalla Felici Editore, nel 1983 esce "Bailamme" (ristampato nel 2022 con Porto Seguro editore). Negli anni seguenti ha pubblicato come coautore “Le vie del meraviglioso” (Loescher,1966), “Il filo d’Arianna (ETS, 1999) e da solo “Cicli e tricicli” (ETS 2002), “Graaande …prof (ETS, 2005) e “Il baffo e la bestia” (ETS 2021), "Erotiche alchimie" (ETS,2024) e "La disgrazia di chiamarsi Lulù" (Felici Editore, 2024). Ha curato l’antologia “Cento di questi sogni” (MdS, 2016) ed è direttore editoriale della collana di narrativa “Incipit” (ETS)

​C’era una volta cent’anni fa …

di Pierantonio Pardi - lunedì 15 settembre 2025 ore 08:00

C’era una volta cent’anni fa una Maremma ribelle, sovversiva e indomita. Una Maremma diversa da quella di oggi. Una Maremma crognola, tetragona, armigera. Una Maremma proletaria, solidale, minerale. Quella Maremma i fascisti hanno provato a bonificarla. Ne hanno fatto una Maremma domesticata, ispezionata, spiata, diretta, legiferata, regolamentata, recintata e indottrinata (…)

Ma io vi canterò di quell’altra Maremma. La Maremma ribelle e indomita. Canterò allora l’armi e gli eroi, il sangue e il respiro grosso, la rabbia e l’ira funesta dei villici crognoli di Maremma. Narrerò le fughe tra i lecceti gli scopeti i castagneti e i forteti, col cuore in gola e le labbra spaccate, coi piedi gonfi dal freddo e le narici piene di tabacco.

E’ questo un frammento dell’incipit di questo romanzo di Alberto Prunetti, “Troncamacchioni” che, con un richiamo neppure troppo subliminale all’Ariosto e a Virgilio, ci racconta l’epica stracciona dei diseredati, ribelli e anarchici maremmani durante gli inizi dell’epoca fascista.

Ed ecco il plot, dalla terza di copertina

“Qui troverete l’epica stracciona dei diseredati che non possono permettersi il lusso delle emozioni interiori, la storia degli ultimi che hanno fatto la storia. I protagonisti di queste pagine, se splendono, è per il quarzo dei loro denti di granito. Se la loro pelle cambia colore, è perché una ferita sanguina come un filone d’ematite. E quando sono vicini fanno scintille, come la pirite quando incontra il nitrato di potassio.” Domenico Marchettini, detto il Ricciolo, “facchino propenso alla rissa e al turpiloquio”. Giuseppe Maggiori, taciturno minatore analfabeta. E ancora, Robusto Biancani, ciabattino comunista dall’aria sensibile e sognante, e Albano Innocenti, “formentatore di disordini”. Personaggi che raramente si incontrano nei libri di storia, se non intruppati in entità collettive e senza volto come “le masse”, “i proletari”, “il popolo”. Sono questi, i loro sodali, le madri, le sorelle, le compagne i protagonisti della novella nera cantata in questo libro. È il racconto di uomini e donne nell’Alta Maremma agli albori del fascismo: anarchici e banditi, disertori e comunisti, tipi arruffati che non hanno avuto la fortuna di trovare davanti a sé una strada dritta e spianata, ma sono stati costretti a farsi avanti “a troncamacchioni” – “tra i lecceti gli scopeti i castagneti e i forteti, col cuore in gola e le labbra spaccate”: perennemente in fuga dall’autorità costituita, dai picchiatori fascisti, dai delatori pronti a vendere il vicino di casa per pochi denari. Lo spirito ribelle di minatori e contadini che non hanno niente da perdere ma non rinunciano a opporsi, a negare il proprio consenso, si fa avanti a colpi di coltello, di bastone, di furore, ma anche di versi in ottava rima improvvisati. E dalle colline della Maremma arriva fino in Francia, in Belgio, in Russia.”

Ma sentiamo adesso dallo stesso Prunetti come definiva il suo romanzo in un dialogo con Antonio Montefusco, riportato sulla rivista “Jacobin – Italia” (2 aprile 2025):

Definirei Troncamacchioni un romanzo storico working class sull’origine del fascismo. Ci sono tanti modi per interpretare la letteratura working class. In passato ho usato la forma del récit de filiation e del memoir francese, assieme a quella del romanzo working class britannico, intrecciandole con l’inchiesta operaia e la «solenne incazzatura» bianciardiana in prima persona. Adesso provo a fare i conti con un genere più borghese, quello del romanzo e in particolare del romanzo storico, facendolo esplodere dall’interno, attraverso coni di luce working class. Il risultato è un romanzo ibrido, che fatica come tutte le forme working class a stare dentro una cornice stilistica – va detto di per sé molto elastica, almeno dai tempi del Tristram Shandy – costruita nel corso dei secoli dall’immaginario della borghesia. (…)

Al centro di questo nuovo romanzo, che ho intitolato Troncamacchioni in omaggio a quei carbonai e boscaioli maremmani che camminavano nei boschi di forza, spezzando col petto i rami bassi degli arbusti, non c’è un personaggio con cui identificarsi: la mia è una storia corale di tanti personaggi minori, formichine operaie che fanno la storia solo in maniera collettiva. Infatti, al contrario di Antonio Scurati che ha scritto in M una genesi del fascismo tutta concentrata sulla maschia volontà di un solo protagonista capace di forgiare la storia, le mie convinzioni mi portavano altrove: la storia non la fa un uomo solo. Il fascismo è stato un dispositivo reazionario necessario per bloccare il protagonismo delle classi popolari, quindi o Mussolini o un altro utile idiota della classe degli agrari e degli industriali, poco sarebbe cambiato. E non solo. Cerco uno sguardo che si allontani dalle grandi città e che si spinga nella provincia, dove secondo Luciano Bianciardi si possono cogliere in maniera più netta certi fenomeni. Per questo racconto il lavoro anonimo dei tanti subalterni che nelle macchie toscane provano nei primi lustri del Novecento a fare la storia: servi della gleba che da generazioni rimanevano silenti di fronte al padrone e che all’improvviso si ribellano, occupano campi e officine e poi pagano con la morte o il carcere o l’esilio il naufragio del loro protagonismo politico.

Durante la grande guerra, in molti disattesero gli obblighi di leva, preferendo disfarsi della divisa per infilarsi nelle macchie mediterranee.

In Maremma i disertori si uniranno per formare una banda, di una sessantina di individui con gradi militari, armi e una elementare organizzazione logistica e passeranno alle vie di fatto cominciando a grassare i ricchi proprietari terrieri.

La storia di questa banda di disertori ruota attorno alla figura di Curzio Jacometti, detto il Prete o il Pretaccio e la banda sarà appunto la banda del Prete. Tra i suoi proseliti Domenico Marchettini e Giuseppe Maggiori, protagonisti di molti episodi narrati nel libro che continueranno, dopo l’ assassinio del Prete, la loro lotta contro i fascisti e i padroni.

Molti di questi episodi vengono narrati dal carabiniere Domenico Mauri, passionista di verbali e resoconti, di stanza nella caserma di Tatti.

Tatti, che sarà al centro di una devastazione da parte dei fascisti, che così ci racconta l’autore:

Intanto, mentre regolano i conti coi tatterini, i patrioti in camicia nera rubano prosciutti, uova, una macchina per cucire, scarpe, abiti, pellami, biancheria, un corredo da nozze. Un’altra macchina per cucire viene gettata in strada da una finestra all’altezza di otto metri. Gli “italianissimi ricostruttori” distruggono poi mobili, masserizie, suppellettili. Mucchi di mobilio vengono accatastati nelle strade e dati alle fiamme. Anche la piccola biblioteca del vicesindaco Assuero Bucci viene portata in strada e messa al rogo. Tatti è a ferro e fuoco. I carabinieri non provano neanche a fermare gli squadristi che possono muoversi certi dell’impunità e attaccano armati, cittadini inermi, seminando il terrore.

Caratteristica dominante dei personaggi è la loro anarchia: non sopportano nessun tipo di imposizione, sono disertori alla leva, ma si oppongono anche ai soprusi fascisti a costo di rimetterci la pelle. Il racconto di Prunetti culmina appunto nei fatti di Tatti del 1922: Patrizio Biancani, padre sessantenne del comunista Robusto viene ucciso da un gruppo di fascisti in seguito a tafferugli. Per vendicare il padre, Robusto, con la complicità di Domenico Marchettini e Giuseppe Maggiori uccide il 22 maggio 1922 due ricchi agrari del luogo.

Prunetti segue le storie di Biancani, che fugge in Francia, e poi in Unione Sovietica dove viene ucciso per ordine di Stalin nel 1938; ma anche quelle del minatore Giuseppe Maggiori, del calzolaio Gualtiero Bucci, del facchino Domenico Marchettini, del carabiniere Domenico Mauri dando vita a una “novella picaresca alla maremmana” che tra l’altro ha il merito di illuminare certi meccanismi storici del nostro paese come la rimozione del passato.

Ci sono molte analogie tra i personaggi narrati da Prunetti e l’epopea dei vari “Garibaldo”, gli anarchici che Tabucchi racconta nei suoi due primi romanzi “Piazza d’Italia” e “Il piccolo naviglio”; anche loro in lotta perenne, prima contro i Savoia e infine contro i fascisti.

Ma c’è un episodio divertentissimo che lo stesso Prunetti lascia un po’ in sospeso tra realtà e fantasia, che dimostra come le valorose camicie nere fossero in realtà una trista accozzaglia di vigliacchi; è l’episodio dell’oste anarchico di Prata, alto, grosso, anzi enorme, con la barba folta e la voce tonante

Una sera, dieci camicie nere si presentano nella sua osteria con l’intento di dargli una lezione, ma lui, prima di tutto, offre loro da bere e mette sul bancone, dieci bicchieri, più il suo. I fascisti, pensando che fosse un po’ tocco, accettano di bere.

A quel punto l’oste anarchico prese da un angolo dell’osteria una damigiana di rosso, di quelle da cinquantaquattro litri, la sollevò per il collo con una mano sola e la abboccò al primo gottino con un polso saldo delle dimensioni di un mattone cotto in fornace. I neri italianissimi ammutolirono e sbiancarono (…) Tanto fu lo spavento che i fascisti liberarono quello che Dante chiama “un tristo fiato”. Ossia si cacarono addosso

Poi, mentre se ne andavano a gambe levate, l’oste intonò:

Per gli sbirri, i fascisti, gli agrari

La Maremma ‘ un è luogo sicuro

Ogni forra, ogni pezzo di muro

Un pericolo celan per lor

Finché verrà il dì della riscossa

Per i neri non resterà scampo

La Boscaglia e la Camicia rossa

In Maremma giustizia faran!

Alberto Prunetti, scrittore e traduttore, è autore tra l’altro di “108 metri. The new working class hero” (Laterza, 2018) e Amianto. Una storia operaia (nuova edizione Feltrinelli, 2023). Per Alegre dirige la collana di narrativa Working Class. 

Pierantonio Pardi

Articoli dal Blog “Le pregiate penne” di Pierantonio Pardi