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martedì 19 marzo 2024

RACCOLTE & PAESAGGI — il Blog di Marco Celati

Marco Celati

MARCO CELATI vive e lavora in Valdera. Ama scrivere e dipingere e si definisce così: “Non sono un poeta, ma solo uno che scrive poesie. Non sono nemmeno uno scrittore, ma solo uno che scrive”.

Buon anno

di Marco Celati - domenica 01 gennaio 2017 ore 14:00

Tutto, ma proprio tutto, prima o poi finisce: l'universo ha avuto un inizio e, dice, avrà una fine, anche il Teatro di Pontedera, ci volle del tempo, ma finì. E pure quest'anno bisesto, di terrori e terremoti, si avvia a compimento. Anzi, quando leggerete sarà già bello che finito. Seddio vole! Anno bisesto, anno funesto. Non ci credevo, ma è proprio vero. Almeno per me è filato via piuttosto normale, zitto zitto, ma al suo tramontare, come gli scorpioni, aveva il veleno nella coda. "In cauda venenum" dicevano i latini che di frasi celebri se ne intendevano e anche di tramonti. Pensate al sacro romano impero!

Verso la fine del 2016 me ne sono successe di tutti i colori, ma non dirò delle cose peggiori che mi sono capitate. Non sto qui a raccontarne perché peccherei di biografismo, una grave sindrome che affligge gli egocentrici e i mediocri scrittori, e sarei noioso. E poi non si tratta di tragedie, mancanze o questioni di salute, quelli sì sono problemi seri. No, è piuttosto la persecuzione degli eventi quella che da' noia, quando ti prende o ne sei colpito. Dirò solo di un evento rivelatore dell'infausta catena. Sono andato in pensione. Sarò un cazzofacente, controllerò i lavori pubblici e gli avvisi mortuari, esprimerò giudizi, mi lamenterò del tempo. Mi laureerò finalmente: all'Università della Terza Età. No, non sono ancora pronto. Scriverò, ma scrivere si fa a scappatempo, se il tempo ce l'hai che gusto c'è? Mille euro circa al mese è ciò che percepirò, se il sindacato, che non sempre c'indovina, ha fatto bene i conti. Sempre lavorato, ma versamenti pochi: un versamento ad un ginocchio contribuisce più che altro alla vecchiaia. La pensione basterebbe a malapena per l'affitto e il prestito in banca. Bisognerà che mi cerchi un lavoro.

In seguito, ad infierire, è sopraggiunta la caduta della protesi dentaria, volgarmente detta dentiera, e il suo fatale spezzarsi in due. Ha fatto crack e ho provato ad aggiustarla con l'attàck che fa anche rima e più che altro fa deficiente. Non seguite il mio esempio. Oltretutto non tiene. E dunque, prima dell'impegnativo pranzo di Natale, corri dal dentista che la ripara, ma ora fa male e non so se devo sopportare o tornare dal dentista. È difficile dire se siamo noi a doverci adattare alle cose o le cose ci debbano corrispondere. Ma vabbè. Se da giovane mi ero curato i denti non mi ritrovavo così.

Poi il dopo pranzo di Natale. Bella giornata. Natale vuole neve, ma anche con il sole non disgarba. I ragazzi, nel giardino che ci ospita, tirano su una corda, delimitano un campo. Li guardo invidioso, sospettoso e preoccupato. Vieni a giocare a pallavolo. Veramente stavo bene con "il caldo buono tra le quattro capriole di fumo del focolare". Il fuoco del camino ha su me un effetto ipnotico. E poi ho un'età, sono ungarettiano. Manca uno per fare le squadre pari. Allora se manca uno... Non ho talento per il volley, né, come si è detto, l'età. Come Gigliola Cinquetti. O Cinguetti? Più o meno.

"Mia!" ho gridato. "Ri-mia!!!" ho urlato di nuovo, ho colpito male la palla e mi sono strappato il braccio. Il destro e non sono mancino. A parte il dolore cane e la figura di merda è l'ideale per uno che deve traslocare. Perché questa è l'altra iattura capitata a fine anno, la sfiga assoluta da non augurare nemmeno al peggior nemico: il trasloco.

Alla fine, poi, tutto si riassume in un breve inventario: le misure di uno scrittoio, tre librerie, un armadio, due cassettiere e due scarpiere. Il conteggio è rapido e presto fatto. Il trasloco già predisposto. Restano un terrazzino di meditazione, affacciato sulla Valdera, per i pensieri e lo sguardo di altri. Poi il calcolo noioso della caparra, la fastidiosa contrattazione dei danni, di ciò che si lascia o si paga. E per concludere i convenevoli, le strette di mano, i saluti. Scusate, sono stato bene nel vostro appartamento. Anche noi con te. Sarei rimasto. Le vicissitudini: si sa com'è, come vanno queste cose. Per dire invece che nessuno sa come vanno le cose. Cosa scatta nella testa e nella vita della gente. Quale tragedia o commedia. Che riserva il destino e quanta parte abbiamo nel determinarlo. Sicuramente ne abbiamo, ma la vita scorre con il tempo e con essa il giudizio su noi.

Il mio tempo è fatto di sgomberi, è una via crucis di traslochi. Come fossimo sfollati, reduci dalla vita. Nelle case che lasciamo rimane un po' di noi e in quelle che occupiamo c'imbattiamo nei resti delle esistenze di altri. I nostri fantasmi si incontrano con quelli dei precedenti inquilini. È nel DNA della mia famiglia, di mio padre e mia madre: da via Rossini, a via Montanara, al Villaggio Piaggio e poi in via Pascoli. Un esodo urbano. Forte di questa eredità di esodi anch'io mi sono dato da fare, ho proseguito e moltiplicato la diaspora della mia di famiglie e della mia di vite. A Firenze da studente, poi a Pontedera, alla Bellaria, al Centro e alla Stazione. A Pisa per lavoro e ancora alla Bellaria. Di nuovo in Centro, a Treggiaia e ancora in Centro. E infine chissà. La fatica delle scale, la misura degli ascensori: di questo è fatta la nostra esistenza. Avrei fatto meglio a tenere gli oggetti domestici, i libri e i vestiti, stivati nelle scatole, nelle buste, già pronti per il nuovo trasloco. Nel mezzo ci sono famiglie messe su e perdute, figli, affetti lasciati, separazioni, divorzi, amori ritrovati e nuovi abbandoni. In alcune case restano i nostri ricordi ed il cuore.

E poi il mio gattino nero, portatore sano e malato di sfiga. Sterilizzato, che è un modo elegante di dire castrato per l'affetto che lo rende un animale domestico, una puntura postoperatoria di antibiotico data nella coda gliel'ha fottuta. Una reazione allergica dicono il veterinario e la veterinaria. La coppia si dispiace e non si spiega. Nemmeno la coda del gatto si spiega più, dritta come prima, per le mie carezze e per spiegare dove finiva il gatto. Per combattere l'infezione mi hanno prescritto delle pasticchine che gli nascondo nei cubetti di mortadella di cui va ghiotto, che, ignaro, ingurgita. Forse dovranno tagliare anche quella. Così mi sento tre volte in colpa: due volte per le palle e una per la coda. Povera bestia. Doveva proprio incontrare me. Siamo tutti "belle e povere bestie". Lui un po' di più. Ma chissà.

Quest'anno con i figli ci siamo regalati libri: io le quattro stagioni del Commissario Ricciardi di Maurizio De Giovanni e loro l'ultimo, sui libri dimenticati, del "gotico" Zafón e la trilogia di Malinconico di Diego De Silva. Dice che scrivo come De Silva. Non è vero, magari! Meno filosofico assai e meno lungo nei periodi. Però "senza capo, coda e carne in mezzo" scrivo anch'io. Ma parecchio meno. E un po' Vincenzo Malinconico mi somiglia. Chissà perché. Sarà per quel cognome. Avvincente, come sempre, l'iberico Zafón e bravi questi napoletani: De Silva, De Giovanni. De! Accidenti a loro.

A proposito di Commissari, tutti scrivono gialli e noir. A me non riesce. Mi sono inventato il Commissario Favati, bel cognome toscano e di poca carriera. Non è un aquila: risolve casi semplici o non li risolve per niente. Gli piace il tango, ma non balla. Ha già svelato il caso del redo scomparso e ora è alle prese con un morto in milonga che non sa come va a finire. Prima o poi lo darò alle stampe, anzi lo metterò in rete. Sono racconti che non sanno di una sega, come tante cose che capitano nella vita. Ma tanto in rete ormai ci siamo e ci sta tutto.

Ecco! Sparano già i primi botti premonitori. Qualche cretino, come sempre, si farà male. Quest'ultimo dell'anno in cui ci si deve divertire per forza e per forza stare in compagnia non mi è mai piaciuto. È difficile essere felici normalmente, figuriamoci per forza. Come per l'amore. Ricordo piuttosto con nostalgia e tenerezza un primo dell'anno in passeggiata in luogo di mare tra i reduci della festa, con la bambina che piangeva perché aveva fame. Ma i ricordi sono vigliacchi perché a qualcuno fanno bene e ad altri male. Così succede quando non si condividono le vite e le memorie. E allora, come si dice, buon anno nuovo. Ma anche riutilizzarne uno usato, di quelli migliori, in cui siamo stati bene non sarebbe male. Visto ciò che succede nel mondo, il futuro, di recente, non ha una grande reputazione, mi suggerisce un amico. O forse il futuro è fatto di esistenze circolari, come l'economia, e si può riciclare all'infinito. O anche un po' meno. Comunque, auguri.

Marco Celati

Treggiaia, 31 Dicembre 2016

Marco Celati

Articoli dal Blog “Raccolte & Paesaggi” di Marco Celati